Comunicazioni

La "scelta" di morire e la sconfitta di una società civile

Si è parlato e scritto molto sul suicidio della diciassettenne olandese Noa Pothoven che "ha scelto di morire", come titolava un giornale tra i più diffusi in Italia. Un caso doloroso e che ha colto tutti un po di sorpresa, anche se nel suo paese già da alcuni anni è legale l'eutanasia, anche se riguarda ragazzi che hanno compiuto i diciassette anni. Credo sia stato il primo caso, ci auguriamo che non ne seguano altri, anche perché si rimane dolorosamente colpiti nell'apprendere una notizia di tale portata, che pone una innumerevole serie di interrogativi....

 

 Ho iniziato questo articolo riportando quello scelto dal giornale e traducendolo in domanda perchè, a mio avviso, contiene una ipocrisia velata, ma macroscopica. Il verbo "scegliere" che dovrebbe in teoria suscitare un senso di rispetto, in quanto si presume che la persona, al di la di ogni valutazione etica, sia stata libera appunto di decidere, da sola, della propria vita.

"Ha scelto", si legge nel titolo dell'articolo, quasi a dire che si è assunta tutte le responsabilità delle conseguenze della sua scelta; ha esercitato un diritto inallienabile della persona: scegliere! E soprattutto scegliere cosa fare della sua vita!

Chi può imputarle alcuncunché? Non siamo proprietari della nostra vita? Chi avrebbe dovuto o potuto impedirglielo? I suoi genitori?

Il loro messaggio è breve, ma racchiude una tragica rassegnazione e l'assenza di ogni speranza: "Noa aveva scelto di non mangiare e bere più. Vorremo sottolineare che questa è la causa della sua morte."

Al di là di ogni interrogativo etico, cui siamo chiamati a rispondere se siamo o no "proprietari" della nostra vita, e quindi titolati a farne ciò che vogliamo, torno a proporre la domanda, che non possiamo eludere, relativa alla libertà di scegliere: era libera di scegliere? Era nella condizione di scegliere liberamente o era condizionata da situazioni, vicende, che hanno determinato la sua scelta?

Anche dal punto di vista squisitamente etico, non c'è responsabilità se non c'è libertà; cioè, non ci sono le condizioni per peccare se una persona non è libera di operare una scelta! Il peccato non è semplicemente la trasgressione di una norma, ma come si afferma nella tradizione della chiesa, per commettere un peccato sono determinanti tre condizioni: la "piena avvertenza", il "deliberato consenso" e naturalmente la "materia", che influisce sulla gravità o meno del peccato. Ora, nel caso della giovane, sicuramente è grave la "materia", in quanto si è trattato di porre fine alla propria vita, ma c'erano "piena avvertenza" e "deliberato consenso"? Era veramente libera di operare la scelta; era nelle condizioni di operare una scelta o questa è stata determinata, condizionata, dalla condizione che si ritrovava a vivere?

Una ragazza, fortemente provata e offesa da diverse violenze sessuali, che cade in depressione e perde ogni minima e flebile voglia di vivere, è nelle condizioni di operare una scelta veramente libera? Ha scelto di morire, o è stato il suo vissuto, che l'ha costretta a rimanere nel drammatico tunnel di dolore e non senso di cui era vittima innocente, a imporle un'azione che le ha dato una sensazione di libertà?

Lo stato ha il dovere di garantire la libertà e dignità dei suoi cittadini e della loro vita, in modo particolare se minori e fragili, o ha il diritto di dire: al di là di tutto e di tutti, io non entro nella vita e nelle tue scelte, fanne quello che vuoi? C'era un modo di proteggere e sostenere la fragile vita di Noa, o l'unico dovere dello Stato olandese era quello di permettere un suicidio assistito, e cioè che soffrisse il meno possibile? Sono questi i "diritti civili" che uno Stato civile deve garantire a tutti i cittadini, soprattutto se minori, o c'è un diritto della salute, quindi di essere curati e sostenuti soprattutto nel momento della fragilità, soprattutto se psicologica, e del bisogno?

Concludo con le inequivoche parole di Papa Francesco; sono rivolte a ognuno di noi: "Il suicidio assistito e l'eutanasia sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare ma chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza".

Mons. Felice Bacco - Parroco della Cattedrale di Canosa e Direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali della Diocesi di Andria