Riprendiamo e pubblichiamo dalla Gazzetta del mezzogiorno del 11 gennaio 2015.........di Mons. Felice Bacco
Ho letto con piacere la bella recensione di Rino Daloiso pubblicata sulla Gazzetta del 30 dicembre scorso, dell'ultimo libro scritto dall'amico Michele Palumbo: "Preghiere laiche". Non ho avuto modo di leggerlo, cosa che farò al più presto, ma conosco la maggior parte dei testi citati, che mi hanno sempre fatto pensare ai diversi modi di approciarsi alla problematica dell'esistenza di Dio ed ai diversi modi di percepire Dio, a tal punto che l'autore li definisce "Un Pantheon fatto di preghiere che contengono anche forti dubbi, ma anche un profondo senso religioso."
L'idea del Pantheon mi ha fatto pensare al presepe che abbiamo allestito in cattedrale, nel quale da una parte c'è una piccola edicola votiva dedicata "Al Dio ignoto" (Atti, 17.23), dall'altra c'è la grotta della natività, con il Bambino Gesù in fasce.
L'accostameto fa riferimento alla predicazione di san Paolo all'Areopago: "Passando e osservando i monumenti del vostro culto ho trovato un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve l'annunzio".
Gesù è venuto per farci incontrare il Dio che era ignoto, quello che non conoscevamo pienamente, o che cercavamo senza trovarlo, o che continuiamo a cercare senza riconoscerlo, o perchè pur negando la sua presenza con la ragione, ne sentiamo fortemente il bisogno nel profondo del cuore.
Non è, a mio modesto avviso, un "breviario delle pecorelle smarrite" o la "lode del dubbio", ma l'espressione di un itinerario di "fede": "non ti cercherei, afferma sant'Agostino nelle Confessioni, se tu non mi avessi già trovato".
Il dubbio, la ricerca, la crisi ... non sono puro ateismo, ma al contrario i sintomi di una inquietudine che ci lega a Dio.
Sono già un percorso di fede.
La fede, come la vita cristiana, è un cammino: solo il Signore conosce a che punto siamo.
Non è importante stabilire dove ci troviamo, ma che ci sforziamo onestamente di cercarlo: "Io non ritengo - dice di sè san Paolo - di essere arrivato .. questo soltanto so .. corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere"(Pil 3,13-14).
Noi siamo vittime ancora di una concezione volontaristica della fede, dove credere significa "ritenere per vere" delle affermazioni, dire di sì con la volontà, con l'ossequio della ragione.
Accanto alla bellissima espressione di George Bernanos, "il desiderio di pregare è una preghiera stessa", aggiungervi alcune bellissime riflessioni dell' "ateo", come lui stesso si definisce, Dovstoevskij, nella famosa lettera alla signora von Vizin: "Io vi dirò di me che sono un figlio del secolo, un figlio della miscredenza e del dubbio e che (lo so) lo resterò fino alla tomba.
Quante terribili sofferenze mi è costata e mi costa ora questa sete di fede, la quale è tanto più forte nell'anima mia, quanto più sogno argomenti contrari. E tuttavia Dio mi manda talvolta dei minuti, nei quali io sono del tutto sereno, in questi minuti io amo e trovo di essere amato dagli altri e in questi minuti io ho cercato in me stesso il simbolo della fede, nel quale tutto mi è caro e sacro. Questo simbolo è molto semplice, eccolo: credere che non c'è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più virile e perfetto di Cristo... E non basta; se mi si dimostrasse che Cristo è fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo anzichè con la verità".
Ma si può temere che questa sofferenza del cuore, questo desiderio dell'animo, non siano già accolti con benevolenza da Dio Padre? Mi spaventa piuttosto la fede di chi ritiene di avere chiuso il problema di Dio con il solo consenso della volontà (credo e non voglio troppi fastidi), o di chi ha ridotto la fede ad un'assicurazione per la vita, o ad una camomilla che tranquillizza. Una fede imbalsamata. Le parole del Vangelo portano in altra direzione: "Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra..." (Lc-12, 49-53).
Quel tenero Bambino in fasce, da accogliere con semplicità, che racchiude in sè il mistero della vita di ogni uomo, che, come tutti i bimbi nella loro fragilità, richiede ed ottiene la nostra tenerezza, sorprendentemente ci manifesta e s'incontra con la tenerezza di Dio per noi e dentro ognuno di noi: E' venuto a rendere visibile l'invisibile, noto l'ignoto. Ringrazio l'amico Palumbo e Rino Daloiso: contribuite a non archiviare il problema di Dio, ma farlo entrare nel nostro dibattito culturale.
La preghiera laica? C'è
Riprendiamo e pubblichiamo dalla Gazzetta del mezzogiorno del 30 Dicembre 2014.........L'Andriese Michele Palumbo autore di un volume che fa riflettere..... Tra Voltaire e De Filippo
C'è la "preghiera a Dio (che c'è)" di Voltaire e anche la "preghiera a Dio (se c'è)" di Diderot.
La "preghiera alla Natura" di d'Holbach precede la "preghiera all'uomo" di Kant. La "preghiera dolce" di Garcia Lorca sta insieme alla "preghiera a Maria" di Eduardo de Filippo.
Ci sono poi la "preghiera disperata" di Pasolini e la "preghiera ironica" di Turgenev e la "preghiera sberleffo" di Pirandello. Prima ancora ci sono le canzoni-preghiere Liberanos Domine di Guccini e Il testamento di Tito di De Andrè. La conclusione è affidata alla "preghiera del dubbio" di Achille Campanile. E il dubbio, per definizione, non è mai una conclusione.
Ecco il "proprio e personale Pantheon" che Michele Palumbo, docente di storia e filosofia al Liceo scientifico statale "Nuzzi", giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, ha costruito in Preghiere laiche (pagine 70, etetedizioni, 8 euro). Un Pantheon fatto di "preghiere - scrive l'autore - che contengono anche (forti) dubbi, ma anche (in fondo) un profondo senso religioso. Sono preghiere di filosofi (illuministi), di scrittori, di poeti, di cantautori e anche di umoristi".
Le preghiere laiche sono appese al filo della scommessa di Pascal : se Dio esiste, si conquista la salvezza. Se non c'è, non è forse più felice l'esistenza di chi crede di non finire in polvere?
Piuttosto che nella "convenienza" della scommessa, Palumbo si riconosce nella voltairiana "preghiera a Dio (che c'è)". "Fa in modo - sottolineava l'autore del Trattato sulla tolleranza - che coloro che accendono ceri in pieno giorno per celebrarti, sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera".
La preghiera, laica o religiosa che sia, per non contraddire se stessa, non deve scadere nel monologo o indulgere nell'enfasi parolaia. E qui soccorre il Vangelo di Luca: "Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sè: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perchè chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".
Sarà pure, quello di Palumbo, un "breviario delle pecorelle smarrite" ("Sempre che si siano smarrite. Sempre che siano pecorelle", annota l'autore stesso nell'introduzione), ma non sono forse quelle di cui va alla ricerca il Buon Pastore che ha cento pecore e ne smarrisce una e, trovatala, "si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite"?
Forse per quei sentieri impervi e misteriosi può essere buon compagno di viaggio il dubbio, quello del credente e quello dell'ateo, messi in scena da Achille Campanile nella preghiera conculisva del "breviario". E lì si sente l'eco della "lode del dubbio", secondo la lezione di Bertolt Brecht.
E, però, una certezza c'è: "Il desiderio di pregare è una preghiera stessa".
Parola di George Bernanos.