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Riscoperta la Madonna di Montevergine a Canosa ....nel culto del 1600.

Giaceva sconosciuta una tela in alto nella sacrestia della Cattedrale S. Sabino di Canosa con un’immagine mariana annerita dal tempo. Nel corso di uno spostamento per restuari, il quadro ha rivelato agli occhi attenti di mons. Felice Bacco la sua identità. Infatti in basso sulla cornice lignea è scritto: S. M. DI  MONTE VERGINE, mentre in alto si riporta AD  A.D.  FC 1863, forse con le iniziali dell’autore della cornice ottocentesca.

L’abbiamo fotografata con l’amico Sabino Mazzarella il giorno successivo al distacco dalla parete della Sacrestia.

Ma l’esame obiettivo di don Felice indica una tela più antica, ristretta, quasi ritagliata dalla cornice di epoca successiva.

  • Iconografia del dipinto

L’immagine della Madonna in trono riporta somiglianza alla Madonna in trono col Bambino, che nel suo splendore artistico e religioso è venerata dal XII secolo nel Santuario di Montevergine, in provincia di Avellino.

Il dipinto di Canosa ritrae la Vergine Maria tra due santi, che possiamo riconoscere nella simbologia agiografica.

A destra viene rappresentato San Guglielmo da Vercelli (Vercelli, 1085 – abbazia del Goleto, 25 giugno 1142), fondatore del monastero benedettino di Montevergine, e che intorno al 1115 si ritirò in vita monastica “in monte quod vocatur virgine”, sui 1500 metri dell’Appennino.

Ai suoi piedi figura accovacciato  il lupo, secondo la tradizione della vita eremitica nei boschi.

A sinistra viene rappresentato San Benedetto nella classica iconografia del Santo con il libro della Regola e con il corvo con pane nel becco, come riporta il ‘volgarizzamento’ (scritto in volgare) dei Dialoghi di Gregorio Magno (Libro, II, cap. IX): “il corvo pigliò il pane col becco e portollo via”, a rappresentare il tentativo vano di avvelenamento di san Benedetto.

  • Le fonti storiche del culto

La tela con la devozione risulta “forestiera” nella Cattedrale San Sabino, non ritrovando fino ad oggi alcuna citazione o memoria liturgica e riteniamo improprio collegare il dipinto all’Abbazia benedettina di San Quirico di epoca precedente citata dal Tortora e dipendente direttamente da Monte Cassino.

Abbiamo svolto, senza frettolose valutazioni,  una ricerca storica contattando direttamente il Santuario di Montevergine e la Biblioteca prestigiosa, cui abbiamo offerto la lettura dello stesso dipinto ritrovato nella sua identità.

Dall’Archivio di Montevergine abbiamo ritrovato l’anello di congiunzione del culto legato a possedimenti benedettini del Monastero di Montevergine a Canosa, “in silva canusia”.

Il Santo di Montevergine e la comunità bendettina virginiana estesero la devozione nell’Irpinia, nella Campania, nella Puglia.

Il Regesto (registro) delle Pergamene con estratti dei Registri Angioini, nel 1279 cita: “Monasterio Montevirginis mentio de quibusdam terris in silva canusia”, dove, dal Monastero di Montevergine, si fa “menzione di alcune terre nel bosco di Canosa”.

Ringraziamo l’Archivista di Montevergine per la preziosa e fondata collaborazione.

  • Le origini devozionali della tela

Nei mesi scorsi, studiando i Sette Colli di Canosa e il Colle storico dei Quaranta Martiri di Sebaste del rione Castello, abbiamo apprezzato la pubblicazione del prof. Morea del 1969, in cui si riporta la descrizione del paese nel Tabulario di Onofrio Papa del 1694.

Il funzionario del tribunale napoletano ricevette in “scriptis” (per iscritto) i dati dal Prevosto che corrisponde al Nicolai, il cui nome è inciso nella lapide documetale della Cappella della Madonna della Fonte della Cattedrale di San Sabino.

“La città, posta sulla collina dei Santi Quaranta Martiri”, con circa 1000 abitanti nello stato di indigenza, viene descritta in un percorso dalla Chiesa di S. Teodoro  (Chiesa del Purgatorio e attualmente di S. Lucia), di S. Caterina, sede della Confraternita del Santissimo e della Chiesa del Carmine, legata al Convento dei monaci Carmelitani dove era riconosciuto lo “jus patronato degli Abruzzesi di Capracotta”.

“La Chiesa era ad una navata grande, con a destra l’altare della Madonna di Montevergine e a sinistra quello della Madonna del Carmine, seguito dal pulpito”.

La ricerca storica viene sostenuta e illuminata dall’emerito studioso Michele Menduni da Firenze, che esclude l’appartenenza all’Abbazia San Quirico, ormai rudere nel ‘700 ed allega il documento della Santa Visita del giugno-luglio 1677 per ordine del Prevosto Giangiacomo Silicio al Monastero di S. Maria del Montecarmelo.

Il delegato “visitò l’Altare della Beata Maria di Monte Vergine, della famiglia De Zocchis, con la Cappella di legno e l’immagine della Beata Vergine”.

 Nel ‘700 il Prevosto Tortora cita sulla collina della Rocca i Monasteri abitati (Monasteria inhabitata) a Fratribus Montis Carmeli (dai Frati del Monte Carmelo) e S. Francisci Minoribus (dai Frati conventuali di S. Francesco).

            Forse dopo la soppressione dei Monasteri, come asserisce Menduni, l’immagine viene trasferita alla Cattedrale di S. Sabino, dove oggi l’abbiamo riscoperta con la destinazione del Museo dei Vescovi.

  • La devozione del 1° Settembre

Consegniamo queste conoscenze riscoperte a don Felice Bacco e a don Peppino Balice, Parroco della Chiesa del Carmelo, proponendo il recupero della devozione  a S. Maria di Montevergine, che si celebra il 1° Settembre, in comunione con il Santuario di Montevergine, meta ancora oggi di pellegrinaggi della Chiesa canosina.

Riteniamo che nell’Archivio Storico della Chiesa del Carmine, siano presenti tracce e riferimenti al culto e all’immagine della Madonna di Montevergine.

Le due sacre  immagini riportano in comune l’ascesa sul “monte”, di quel monte biblico originario del Karmel, del Carmelo nella visione mariana: “Alla fine dei giorni, il monte del Tempio del Signore sarà elevato sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti” (Isaia, 2, 2).

L’arte, la storia,  la devozione hanno radici, recuperate anche oggi in questo tassello di devozione mariana nella Chiesa canosina, dal 1115 al 2015 nella continuità di fede tra passato, presente e futuro.

 

maestro Peppino Di Nunno