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Un museo che aiuti il territorio... di Mons. Felice Bacco

Si è sviluppato durante l’estate un interessante dibattito, stimolato dalla esposizione dei cosiddetti “ori di Taranto” all’expo di Milano, sulla presenza dei nostri reperti nei più importanti musei del mondo e, soprattutto sulla poca visibilità che Canosa trae da questo straordinario patrimonio così largamente diffuso.

Ci sono reperti trovati a Canosa nel Metropolitan di New York, nel British Museum di Londra, al Louvre di Parigi, nell’Ermitage di San Pietroburgo.

Nel nostro ultimo viaggio a Mosca abbiamo letteralmente esultato con tutto il gruppo di visitatori nel vedere due preziosi reperti esposti nel Museo Pushkin: che emozione nel leggere sulla didascalia “provenienza Canosa, sud Italia”.

Senz’altro è bello ed è prestigioso che Canosa sia presente con il suo ricco patrimonio archeologico nei più importanti Musei del mondo ma, a mio modesto avviso, a due condizioni. Innanzitutto, che sia sempre menzionato il luogo di provenienza dei reperti.

Anche dal punto di vista scientifico, è necessario contestualizzare un manufatto, sia perché aiuta alla comprensione dello stesso e sia per dare visibilità alla città da cui proviene.

Inoltre potrebbe e, aggiungo, dovrebbe, diventare un invito a visitare la città, per comprendere meglio il contesto, la storia del territorio che lo ha prodotto e quindi, favorire un ritorno turistico e, naturalmente economico.

Colpisce un certo atteggiamento di autosufficienza da parte di alcuni che ritengono superflua l’indicazione della provenienza (si è detto di alcuni pezzi della collezione dei cosiddetti “Ori di Ta r a n t o ” rinvenuti a Canosa, che ormai appartengono alla collezione di arte orafa tarantina) e inutile dal punto di vista della visibilità che darebbero alla città. Sono gli stessi che purtroppo nel passato hanno assistito inermi al sistematico saccheggio del nostro patrimonio archeologico e che continuano con la loro indifferenza a giustificare l’oblio di Canosa e dei suoi beni culturali.

La seconda condizione è che comunque se ne realizzi uno a Canosa. A mio avviso non importa che sia diffuso (uno di questi potrebbe essere il Museo dei Vescovi) o centralizzato, ma che le migliaia di reperti conservati nei depositi e quelli ritrovati nelle operazioni antiriciclaggio abbiano una degna sistemazione, credo che sia un dovere morale.

Il Museo non deve essere considerato solo come un grande contenitore o più mini contenitori (nel caso del Museo diffuso) dove raccogliere il patrimonio culturale e artistico rinvenuto in un territorio per esporli affinchè vengano eventuali visitatori ad ammirarli: è superata questa concezione statica ed imbalsamata di Museo! Oggi un Museo deve essere un punto di riferimento per il territorio, un luogo che favorisce la crescita culturale di una città, la consapevolezza della sua storia.

I Musei non possono essere una sorta di santuari chiusi in se stessi, frequentati solo da una piccola elite di privilegiati, ma luoghi aperti a tutti, dove nessuno si senta escluso o a disagio, dove si va per il piacere di capire, che cerca di avvicinare all’arte e alla storia delle proprie origini e identità.

Abbiamo bisogno di Musei che educhino soprattutto i giovani alla bellezza, che stimolino alla partecipazione: perché la cultura e la bellezza ci migliorano e migliorano la qualità della nostra vita. Abbiamo bisogno di Musei che interagiscano con le altre realtà educative presenti sul territorio e che dunque contribuiscano alla crescita culturale ed economica della città.

Questo è il tipo di Museo che vorremmo per Canosa e per il quale dovremmo batterci uniti per ottenerlo.

Questo è quello che vorremmo che diventasse anche il nostro Museo dei Vescovi e per questa strada ci siamo incamminati.

Infine penso che la polemica sulla pubblicità fatta in occasione della esposizione degli “Ori di Taranto” all’expo di Milano con alcuni pezzi di Canosa (vedi il diadema e gli orecchini della Tomba di Opaca), abbia almeno sortito l’effetto di informare i canosini e non, che c’è stata una esposizione dei cosiddetti “Ori di Taranto” (con diversi pezzi sicuramente canosini) a Shanghai nel 2010 (all’insaputa dei più) e che sono stati esposti all’expo 2015 di Milano alcuni vasi dauni di sicura provenienza canosina (come era indicato).

E, comunque, è bene che non si perda la memoria della presenza nella famosa collezione degli “Ori di Taranto” di alcuni bellissimi pezzi rinvenuti a Canosa nell’ancora visitabile Ipogeo Lagrasta.

 

....articolo pubblicato dalla Gazzetta del Mezzogiorno il 5 settembre 2015.

 

Articolo collegato    

“Ori di Taranto... o di Canosa?”.....La trasferta ad Expo 2015.