Comunicazioni

Il Campanile on-line.... Gennaio/Febbraio 2017

licca qui per scaricare la copia de "IL CAMPANILE" 

Clicca qui per scaricare la copia de "IL CAMPANILINO"

NELLA LUCE DEL NATALE, UN ALONE DI TRISTEZZA.....riflessione post natalizia di Mons. Felice Bacco

Un’atmosfera natalizia particolare quella vissuta quest’anno da tante persone nella città di Canosa. Sicuramente non sono mancate le luci colorate, le celebrazioni e i consueti tradizionali appuntamenti. Ma quest’anno si è respirato nell’aria qualcosa di diverso; un alone di tristezza ha accompagnato i pensieri di tante persone, ancora profondamente segnate dai fatti di cronaca accaduti, in modo particolare la rapina alla signora Mocelli, finita in tragedia. Nei giorni precedenti il Natale si percepiva anche una diffusa sfiducia che i colpevoli di questa e di altre tragedie fossero assicurati alla giustizia: non per vendetta, ma come segnale forte da dare alla città della presenza dello Stato sul territorio, una presenza più forte dell’illegalità. In questo clima piuttosto pesante, sono stati accolti con un senso di grande sollievo i risultati delle indagini degli ultimi due drammatici episodi accaduti: prima la notizia della soluzione del caso dell’omicidio di Vassalli, poi i primi arresti degli autori della violenta rapina ai danni della signora Maria. E’ giusto e doveroso, a proposito, non dimenticare il grande lavoro svolto dalle forze dell’ordine e, in modo particolare, dalla Polizia di Stato. Evidentemente lo Stato c’è, ed è più forte dei tentativi messi in atto per delegittimarlo. Abbiamo apprezzato la professionalità delle persone che hanno indagato e risolto i casi delle due dolorose vicende, consegnando alla giustizia i responsabili! Ma, tutto questo non ci ha permesso comunque di superare quel senso di tristezza che circolava nell’aria e negli animi, per quanto è emerso dalle indagini e per le persone che si sono rese responsabili di tali fatti criminosi. Nel caso Vassalli, il motivo dell’omicidio gli investigatori ritengono sia stato una diatriba finita male tra i confinanti di due terreni: si uccide, senza pietà, per affermare la supremazia delle proprie ragioni su quelle degli altri! La vita vale meno di un principio da far prevalere a tutti i costi: della presunta ragione! Famiglie coinvolte e stravolte, per stupide questioni di orgoglio individuale.

Nel caso della gioielliera morta, probabilmente, in seguito alle atroci torture, subite nel tentativo di estorcere la chiave della cassaforte di famiglia, la tristezza aumenta a motivo dei risultati delle indagini, circa i responsabili della rapina finita in tragedia. Per gli investigatori sembra ormai assodato che sia gli organizzatori, come anche coloro che hanno materialmente fatto la rapina siano tutti canosini. Per carità, non sarebbe stata meno grave o meno doloroso se fossero state persone venute da altre città o nazioni, ma il solo pensiero che i rapinatori conoscessero la vittima, che potrebbero averla incontrata tante volte in città, magari passeggiando in centro, rende ancora il tutto più doloroso e assurdo. Come è particolarmente doloroso apprendere che uno dei rapinatori abbia appena vent’anni! Dove abbiamo sbagliato, come comunità; abbiamo delle responsabilità in merito? Come mai un giovane che ha ancora tutto da vivere, da realizzare, da costruire, sceglie di percorrere la scorciatoia della violenza per raggiungere i suoi obiettivi? Sono immuni i nostri giovani dalla tentazione di seguire la strada della illegalità, della violenza, dalla tentazione del guadagno facile, per sentirsi realizzati? Le famiglie, la scuola, la chiesa e la stessa società civile stanno facendo veramente tutto il possibile per offrire modelli, stili di vita che formino i nostri giovani all’impegno, alla progettualità positiva, alla responsabilità? E’ diffuso tra i giovani questa mentalità del guadagno immediato, anche a rischio di compromettere per sempre la propria vita e la vita altrui?

Questi e altri tristi pensieri, come il dolore delle famiglie coinvolte nella tragedia in questi giorni di festa, affioravano spesso nell’animo preoccupato di tanta gente comune. Un alone di tristezza, che sicuramente non è riuscito a spegnere la grande luce del Natale, alimentata dalla straordinaria ricchezza dei valori che irradia, legati alla dignità della vita, alla tenerezza dell’Amore di Dio per l’umanità e alla solidarietà fraterna, ma che in qualche modo l’ha smossa. Che l’Emmanuele, il Dio con noi, continui a vegliare e a “volgere lo sguardo sulla nostra vita”, affinché non venga mai meno la speranza in un mondo migliore da costruire insieme.

Messaggio del Papa per la Quaresima 2017

Il mercoledì delle Ceneri, la cui liturgia è marcata storicamente dall’inizio della penitenza pubblica, che aveva luogo in questo giorno, e dall’intensificazione dell’istruzione dei catecumeni, che dovevano essere battezzati durante la Veglia pasquale, apre ora il tempo salutare della Quaresima. Lo spirito comunitario di preghiera, di sincerità cristiana e di conversione al Signore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, si esprime simbolicamente nel rito della cenere sparsa sulle nostre teste, al quale noi ci sottomettiamo umilmente in risposta alla parola di Dio. Al di là del senso che queste usanze hanno avuto nella storia delle religioni, il cristiano le adotta in continuità con le pratiche espiatorie dell’Antico Testamento, come un “simbolo austero” del nostro cammino spirituale, lungo tutta la Quaresima, e per riconoscere che il nostro corpo, formato dalla polvere, ritornerà tale, come un sacrificio reso al Dio della vita in unione con la morte del suo Figlio Unigenito. È per questo che il mercoledì delle Ceneri, così come il resto della Quaresima, non ha senso di per sé, ma ci riporta all’evento della Risurrezione di Gesù, che noi celebriamo rinnovati interiormente e con la ferma speranza che i nostri corpi saranno trasformati come il suo. Il rinnovamento pasquale è proclamato per tutta l’umanità dai credenti in Gesù Cristo, che, seguendo l’esempio del divino Maestro, praticano il digiuno dai beni e dalle seduzioni del mondo, che il Maligno ci presenta per farci cadere in tentazione. La riduzione del nutrimento del corpo è un segno eloquente della disponibilità del cristiano all’azione dello Spirito Santo e della nostra solidarietà con coloro che aspettano nella povertà la celebrazione dell’eterno e definitivo banchetto pasquale. Così dunque la rinuncia ad altri piaceri e soddisfazioni legittime completerà il quadro richiesto per il digiuno, trasformando questo periodo di grazia in un annuncio profetico di un nuovo mondo, riconciliato con il Signore. 

 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

FRANCESCO
PER LA QUARESIMA 2017

  "La Parola è un dono. L'altro è un dono."

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» ( Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell'amicizia con il Signore. Gesù è l 'amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando pecchiamo, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con questa attesa, manifesta la sua volontà di perdono (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016).

La Quaresima è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l'elemosina. Alla base di tutto c'è la Parola di Dio, che in questo tempo siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità. In particolare, qui vorrei soffermarmi sulla parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19- 31). Lasciamoci ispirare da questa pagina così significativa, che ci offre la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e la vita eterna, esortandoci ad una sincera conversione.

1. L'altro è un dono

La parabola comincia presentando i due personaggi principali , ma è il povero che viene descritto in maniera più dettagliata: egli si trova in una condizione disperata e non ha la forza di risollevarsi, giace alla porta del ricco e mangia le briciole che cadono dalla sua tavola, ha piaghe in tutto il corpo e i cani vengono a leccarle (cfr vv. 20-21). Il quadro dunque è cupo, e l'uomo degradato e umiliato.

La scena risulta ancora più drammatica se si considera che il povero si chiama Lazzaro: un nome carico di promesse, che alla lettera significa «Dio aiuta». Perciò questo personaggio non è anonimo, ha tratti ben precisi e si presenta come un individuo a cui associare una storia personale. Mentre per il ricco egli è come invisibile, per noi diventa noto e quasi familiare, diventa un volto; e, come tale, un dono, una ricchezza inestimabile, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016).

Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di aprire la porta del nostro cuore all'altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto. La Quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore. La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole. Ma per poter fare questo è necessario prendere sul serio anche quanto il Vangelo ci rivela a proposito dell'uomo ricco.

2. Il peccato ci acceca

La parabola è impietosa nell'evidenziare le contraddizioni in cui si trova il ricco (cfr v. 19). Questo personaggio, al contrario del povero Lazzaro, non ha un nome, è qualificato solo come "ricco". La sua opulenza si manifesta negli abiti che indossa, di un lusso esagerato. La porpora infatti era molto pregiata, più dell'argento e dell'oro, e per questo era riservato alle divinità (cfr Ger 10,9) e ai re (cfr Gdc 8,26). Il bisso era un lino speciale che contribuiva a dare al portamento un carattere quasi sacro. Dunque la ricchezza di quest'uomo è eccessiva, anche perché esibita ogni giorno, in modo abitudinario: «Ogni giorno si dava a lauti banchetti» (v. 19). In lui si intravede drammaticamente la corruzione del peccato, che si realizza in tre momenti successivi: l'amore per il denaro, la vanità e la superbia (cfr Omelia nella S. Messa, 20 settembre 2013).

Dice l'apostolo Paolo che «l'avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6, 10). Essa è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti. Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 55). Invece di essere uno strumento al nostro servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli altri, il denaro può asservire noi e il mondo intero ad una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace.

La parabola ci mostra poi che la cupidigia del ricco lo rende vanitoso. La sua personalità si realizza nelle apparenze, nel far vedere agli altri ciò che lui può permettersi. Ma l'apparenza maschera il vuoto interiore. La sua vita è prigioniera dell'esteriorità, della dimensione più superficiale ed effimera dell’esistenza (cfr ibid., 62).

Il gradino più basso di questo degrado morale è la superbia. L'uomo ricco si veste come se fosse un re, simula il portamento di un dio, dimenticando di essere semplicemente un mortale. Per l'uomo corrotto dall'amore per le ricchezze non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo. Il frutto dell'attaccamento al denaro è dunque una sorta di cecità: il ricco non vede il povero affamato, piagato e prostrato nella sua umiliazione.

Guardando questo personaggio, si comprende perché il Vangelo sia così netto nel condannare l'amore per il denaro: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24).

3. La Parola è un dono

Il Vangelo del ricco e del povero Lazzaro ci aiuta a prepararci bene alla Pasqua che si avvicina. La liturgia del Mercoledì delle Ceneri ci invita a vivere un’esperienza simile a quella che fa il ricco in maniera molto drammatica. Il sacerdote, imponendo le ceneri sul capo, ripete le parole: «Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai». Il ricco e il povero, infatti, muoiono entrambi e la parte principale della parabola si svolge nell'aldilà. I due personaggi scoprono improvvisamente che «non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via» (1 Tm 6,7).

Anche il nostro sguardo si apre all'aldilà, dove il ricco ha un lungo dialogo con Abramo, che chiama «padre» (Lc 16,24.27), dimostrando di far parte del popolo di Dio. Questo particolare rende la sua vita ancora più contraddittoria, perché finora non si era detto nulla della sua relazione con Dio. In effetti, nella sua vita non c’era posto per Dio, l’unico suo dio essendo lui stesso.

Solo tra i tormenti dell'aldilà il ricco riconosce Lazzaro e vorrebbe che il povero alleviasse le sue sofferenze con un po' di acqua. I gesti richiesti a Lazzaro sono simili a quelli che avrebbe potuto fare il ricco e che non ha mai compiuto. Abramo, tuttavia, gli spiega: «Nella vita tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti» (v. 25). Nell'aldilà si ristabilisce una certa equità e i mali della vita vengono bilanciati dal bene.

La parabola si protrae e così presenta un messaggio per tutti i cristiani. Infatti il ricco, che ha dei fratelli ancora in vita, chiede ad Abramo di mandare Lazzaro da loro per ammonirli; ma Abramo risponde: «Hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro» (v. 29). E di fronte all'obiezione del ricco, aggiunge: «Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (v. 31).

In questo modo emerge il vero problema del ricco: la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla Parola di Dio; questo lo ha portato a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo. La Parola di Dio è una forza viva, capace di suscitare la conversione nel cuore degli uomini e di orientare nuovamente la persona a Dio. Chiudere il cuore al dono di Dio che parla ha come conseguenza il chiudere il cuore al dono del fratello.

Cari fratelli e sorelle, la Quaresima è il tempo favorevole per rinnovarsi nell'incontro con Cristo vivo nella sua Parola, nei Sacramenti e nel prossimo. Il Signore - che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto ha vinto gli inganni del Tentatore - ci indica il cammino da seguire. Lo Spirito Santo ci guidi a compiere un vero cammino di conversione, per riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato che ci acceca e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi. Incoraggio tutti i fedeli ad esprimere questo rinnovamento spirituale anche partecipando alle Campagne di Quaresima che molti organismi ecclesiali, in diverse parti del mondo, promuovono per far crescere la cultura dell'incontro nell'unica famiglia umana. Preghiamo gli uni per gli altri affinché, partecipi della vittoria di Cristo, sappiamo aprire le nostre porte al debole e al povero. Allora potremo vivere e testimoniare in pienezza la gioia della Pasqua.

                                                                                                                                                                                          



ma una società nella quale accadono con troppa frequenza cose tanto crudeli e violente è ancora umana? ...monito di S.E.Mons. Luigi Mansi Vescovo della Diocesi

«Carissimi, ancora una volta, la vita della cara comunità canosina è stata scossa da un atto violento per il quale facciamo fatica a trovare le parole più adatte per qualificarlo. Ci ritroviamo a chiederci: ma una società nella quale accadono con troppa frequenza cose tanto crudeli e violente è ancora umana? Un contesto urbano, nel quale girano indisturbati pericolosissimi delinquenti che mostrano con i fatti di non aver paura di nessuno e di non aver in alcun conto la vita delle persone, che cosa ha di civile?O ci dobbiamo rassegnare a pensare alla nostra città come a una giungla popolata solo da bestie feroci, dove prima o poi ciascuno arriverà a farsi giustizia da sé? Che cosa deve succedere ancora perché chi di dovere, ad ogni livello, prenda i necessari provvedimenti a tutela della incolumità e della sicurezza delle persone? Ma il nostro non è solo un grido di rabbia, è anche un gesto di affettuosa solidarietà e di vicinanza alla famiglia Mocelli, così duramente provata da questo evento delinquenziale. A tutti un monito, un invito a non lasciarci prendere dallo sconforto, ma a continuare ancora e sempre a testimoniare il nostro amore e il nostro attaccamento alla legalità e alla giustizia, a tener vivo il nostro impegno per costruire una società fondata sull'onesto lavoro di tutti e sulla giusta sicurezza degli onesti che, almeno questo ci è di conforto, sono di sicuro la maggioranza della città. Con un grande abbraccio, giunga a tutti e ciascuno la mia benedizione».