Comunicazioni

RIPARTIAMO DA… di Mons. Felice Bacco

Dichiarata la fine dell’emergenza nel nostro Paese, tornati ad una relativa normalità nelle nostre azioni quotidiane, pur non dimenticando che il “nemico” continua a circolare, molte realtà associative, economiche e culturali, hanno creato momenti di riflessione e dibattito al loro interno, per stabilire come ripartire con maggiore efficacia, anche alla luce dell’esperienza fatta nel tempo del lockdown. Da ogni esperienza, anche dalle più dolorose, si possono ricevere insegnamenti e maturare indicazioni per rendere più efficace il proprio impegno, in vista degli obiettivi che, a tutti i livelli, si intendono riprendere, correggere, perché possano essere raggiunti...(continua a leggere)

 

Anche a livello ecclesiale abbiamo avuto opportuni momenti di verifica e dibattito su come ripartire nel nostro impegno pastorale: quali insegnamenti o criticità ha messo in evidenza questo tempo di emergenza e isolamento? Su quali criticità è necessario concentrare ora la nostra attenzione e quale stile pastorale intendiamo assumere per rendere più efficace la nostra missione, sia a livello personale che comunitario? A mio avviso, il lungo periodo di emergenza ha dato maggiore evidenza e posto l’accento su alcune problematiche inerenti la stessa vita cristiana. Possiamo dire che il periodo della pandemia, come una lente di ingrandimento, ha focalizzato e messo in chiaro, concezioni e modi di vivere la vita cristiana che devono interrogare fortemente tutta la comunità cristiana e di cui non si può non tener conto nei nostri futuri itinerari di fede da proporre nei programmi pastorali. Provo ad individuarne alcuni.

Innanzitutto, si fa sempre più strada e prende forza una certa concezione intimistica e individualista della fede. Non da oggi, una certa visione laica della religiosità (sembra un assurdo gioco di parole) tende a affermare che essa è un sentimento tutto personale che ognuno vive nell’intimità del proprio cuore, per cui non c’è bisogno di manifestazioni esteriori, liturgie e prassi varie perchè ognuno coltiva autonomamente il proprio sentimento religioso e vive la propria vita spirituale come ritiene più opportuno, secondo la propria sensibilità e tanto può bastare. La religiosità apparterrebbe esclusivamente alla sfera intima della vita delle persone, per cui ognuno decide di viverla come crede. Ne deriva l’individualismo della fede e la “logica” conseguenza è che ognuno crede in quello che vuole e come vuole.

Uno dei risultati di questa concezione sul piano pratico è l’idea che la Chiesa non è necessaria come comunità di persone, come “popolo di credenti”, come ha insegnato il Concilio, ma si può essere anche cristiani senza la partecipazione alla vita comunitaria. Subito dopo la prima fase di emergenza, Papa Francesco ha messo in guardia dal pericolo della “virtualizzazione” della fede, nel senso che qualcuno possa pensare, per esempio, che le Messe, trasmesse in diretta streaming, possano sostituire quella partecipate con la comunità; che la stessa Eucaristia, come la Chiesa, possa essere ridotta a realtà virtuale, che nel momento in cui non sia  facilmente e comodamente accessibile, si possa anche fare a meno. Tra l’altro, la virtualità dell’appartenenza alla Chiesa permetterebbe di evitare l’indispensabile “fatica” di vivere la comunità, il sentirsi parte di una famiglia che ha “diverse membra”, ma ognuna e tutte armonizzate per l’utilità comune, quella fatica che permette di costruire le basi della comunità, di rafforzarle nonostante, e nello stesso tempo, grazie anche alla diversità di “carismi”, personalità, storie ed esperienze di vita. Sicuramente le dirette streaming hanno permesso di sentire un po’ più vicina la comunità soprattutto nel periodo dell’isolamento terapeutico, ma è pericoloso pensare che possano sostituire le celebrazioni in presenza delle comunità! L’Eucaristia e i sacramenti tutti manifestano, grazie all’azione dello Spirito Santo, una presenza reale di Gesù Risorto nella nostra vita: è il Corpo di Cristo che realizza una comunione reale, totale con noi e con la nostra vita! Le celebrazioni sacramentali, in cui si manifesta la nostra appartenenza alla comunità e la comunità a Cristo, non può essere mai solo virtuale, ma deve necessariamente essere reale: ogni cristiano celebra nella comunità la presenza reale di Gesù Cristo nella propria vita! Come e da dove ripartire, allora, per cercare di porre un argine a questa tendenza e per elaborare progetti pastorali che permettano di riscoprire la bellezza della vita cristiana nella consapevolezza di essere “membra vive” di una comunità, la Chiesa, che insieme annuncia, celebra e testimonia la carità di Gesù Cristo? Credo che la strada ci sia stata mostrata dalla stessa situazione che abbiamo vissuto durante la pandemia. Abbiamo assistito e partecipato ad una meravigliosa gara di solidarietà, in tanti casi fino all’esaurimento delle forze, di operatori sanitari, di moltissime persone che fanno parte del variegato mondo del volontariato, della stessa comunità cristiana, a partire dalle tante espressioni di vicinanza espresse da Papa Francesco per i tanti laici e consacrati che con grande generosità hanno promosso iniziative di aiuto concreto, oltre che di sostegno morale e spirituale. Possiamo dire che la comunità cristiana, con tante persone di buona volontà, “si è presa cura”, come il buon samaritano, delle fragilità e ferite dell’uomo d’oggi. Questa è la missione della Chiesa e da qui bisogna ripartire: una Chiesa che serve “con il grembiule”, come ha scritto e fatto il compianto vescovo, don Tonino Bello. Se la Chiesa non riesce a vivere la sua missione nel servizio, non serve la sua presenza! Questo stile di servizio ci rende credibili davanti al mondo e questo ci si aspetta dai cristiani. Nelle parole evangeliche che delineano la figura e le decisioni del samaritano, non è errato riconoscere la persona di Gesù Cristo e la missione della Chiesa, ieri come oggi, che lascia trasparire il volto misericordioso di Dio che continua a fasciare le ferite dell’umanità che ama.