“Fratelli tutti” è il titolo della terza Enciclica di Papa Francesco, “Sulla fraternità e l’amicizia sociale”, ispirata dalla figura di San Francesco. Come Egli stesso rivela nella introduzione, il documento è stato scritto anche alla luce dei diversi incontri avuti con gli esponenti delle altre religioni. Una Enciclica rivolta al mondo, semplice e pienamente comprensibile nella esposizione, bellissima nella concatenazione dei vari passaggi, e, aggiungerei, capace di coinvolgere profondamente ogni lettore, rendendolo nello stesso tempo testimone e protagonista di questo tempo; essa compendia e sviluppa il pensiero di Papa Francesco su tante problematiche di grande attualità: l’amore universale che promuove le persone e le rende capaci di sentirsi “fratelli e sorelle”, l’imprescindibile funzione sociale della proprietà, ...continua a leggere
il pauroso limite delle frontiere che acuiscono le incomprensioni, il senso genuino della politica al servizio dell’uomo, il rinnovato dialogo sociale capace di proiettare l’umanità tutta verso una nuova cultura, l’artigianato creativo della pace universale, l’attenzione verso gli ultimi e le azioni per la promozione della loro dignità, il valore incommensurabile del perdono, l’ingiustizia e la follia della guerra e l’insensatezza della pena di morte, le religioni solidali nel servizio alla fraternità nel mondo… La lettura rende il senso dell’accorata e appassionata esortazione di una persona illuminata che si rivolge a persone alle quali vuole bene, affinchè prendano coscienza dei legami profondi che legano tutti gli uomini e le donne in qualsiasi parte del globo terrestre essi vivano. La scelta del titolo ha già in sè il fondamento delle riflessioni di Papa Francesco, che abbiamo imparato ad ascoltare in questi anni per la profondità e familiarità del suo linguaggio: “siamo tutti fratelli!”. L’Enciclica è articolata in 8 capitoli e 287 paragrafi. Il nostro intento, nel breve spazio di questo articolo, è quello di introdurre e sollecitare la lettura del testo papale, fermando la nostra attenzione su due espressioni particolarmente illuminanti circa il pensiero del Papa: “la capacità di riconoscere l’altro” e la necessità di “recuperare la gentilezza”.
Siamo al settimo capitolo, che ha per titolo “Dialogo e amicizia sociale”. Scrive Papa Francesco: è importante “riconoscere all’altro il diritto di essere sé stesso e di essere diverso”. Il non riconoscimento della diversità è una forma grave di violenza, che genera tante altre forme di discriminazione: “Quando una parte della società pretende di godere di tutto ciò che il mondo offre, come se i poveri non esistessero, questo ha le sue conseguenze. Ignorare l’esistenza e i diritti degli altri, prima o poi provoca qualche forma di violenza…”. Oggi si stima, secondo fonti attendibili, che un miliardo di persone non ricevono le cure sanitarie di cui avrebbero bisogno, né hanno accesso alle medicine di base, e milioni di bambini continuano a vivere, e a morire, in condizioni inaccettabili. “Di conseguenza, continua Papa Francesco, un patto sociale realistico e inclusivo deve essere anche un ‘patto culturale’, che rispetti e assuma le diverse visioni del mondo, le culture e gli stili di vita che coesistono nella società”. Questo patto richiede anche di accettare la possibilità di “cedere qualcosa per il bene comune” (buon segno il Nobel per la pace assegnato al programma Onu per l’alimentazione). E’ necessario che si riconoscano le diverse culture, senza pretendere nei fatti una egemonia che cerca di imporre sulle altre popolazioni il proprio modo e stile di vita: “E’ il vero riconoscimento dell’altro, che solo l’amore rende possibile e che significa mettersi al posto dell’altro per scoprire che cosa c’è di autentico, o almeno di comprensibile, tra le sue motivazioni e i suoi interessi” (n.221). E’ prendersi cura dell’altro, come il buon samaritano della parabola evangelica dalla quale trae ispirazione l’Enciclica.
L’altra espressione, sulla quale vorrei fermarmi, è: “recuperare la gentilezza”. Il sostantivo sembra quasi un vocabolo inappropriato, quasi contraddittorio, nel momento forte in cui si parla di giustizia sociale, di diritti dei poveri e di denuncia del pericolo di favorire la cultura dello “scarto umano”. Scrive il Papa: “La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici”. Il termine “gentilezza” deriva da “gentilis”, che appartiene alla “gens”, cioè all’insieme di famiglie, alla famiglia umana, quindi ad un’origine comune, che è più forte di ciò che ci differenzia. Del resto, scrive il pontefice: “Non c’è peggior alienazione che sperimentare di non avere radici” (n.53). La gentilezza non si rivela prima di tutto nei modi di fare, nella cortesia, ma è soprattutto uno stato d’essere, dell’animo. Ecco perché l’opposto della gentilezza non è la maleducazione, ma l’indifferenza, la distanza. La gentilezza è nella capacità di farsi carico della vulnerabilità degli altri, con un sentimento di vicinanza e partecipazione. Dove vi è gentilezza vi è speranza, vi è il primato del noi sulla solitudine dell’io. La gentilezza ci rende persone migliori, ci rende resistenti, aperti e solidali con le povertà e fragilità degli altri.
“Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile”, scriveva il noto psicologo statunitense Wayne W. Dyer. Probabilmente è proprio una “rivoluzione gentile” ciò di cui ha bisogno la nostra umanità e cultura, Papa Francesco ne è l’illuminato promotore!