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La parola della IV domenica di Pasqua - 11 maggio 2014

Gesù si presenta come il Mediatore tra Dio e gli uomini. Egli è la "porta" dell’ovile.  Non ci è dato di incontrare Dio in modo immediato. Non possiamo stabilire noi il modo in cui comunicare con lui.

Dio si rivela e si dona a noi attraverso il Cristo che vive nella Chiesa.

Raggiungiamo la comunione con lui mediante la strumentalità della Chiesa in cui è presente e opera Cristo. Egli è la “porta” e il “Pastore” che “cammina innanzi” alle pecore. Gesù, come Buon Pastore, ci conosce per nome, ci ama e per noi offre la propria vita in una dilezione che si spinge sino alla fine.

Noi credenti siamo chiamati ad “ascoltare la sua voce” e a “seguirlo” senza porre condizioni. Egli ci reca al “pascolo”. È la croce, dopo la quale, però, giunge la gioia senza limiti e senza fine: una gioia che ha le sue anticipazioni anche nell’esistenza terrena.

 

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La Parola della III Domenica di Pasqua - 4 Maggio 2014

La scena di Emmaus è un capolavoro di catechesi liturgica e missionaria. Vi è descritto l’itinerario di due discepoli che lasciano Gerusalemme illusi e delusi e vi ritornano per ripartire gioiosi e fiduciosi verso la testimonianza, perché sono stati incontrati dal Crocifisso-Risorto, spiegazione di tutta la Scrittura e presenza perenne tra i suoi nel sacramento del “pane spezzato”.  L’inizio del cammino è un allontanarsi dal Crocifisso. La crisi della croce sembra aver seppellito ogni speranza. Colui che l’ha fatta nascere, l’ha portata con sé nella tomba. Non bastano voci di donne per farla rinascere. Gesù raggiunge i due subito a questo inizio e chiede di spartire con loro domande e scandalo. Ecco la prima tappa, quella del problema posto ad ogni persona dall’evento Gesù, il Crocifisso. L’appello di Cristo ci raggiunge sulla strada della nostra fede incompiuta e della sua domanda. Gesù non arriva di faccia, ma da dietro, come dice il testo greco, e cammina a fianco, da forestiero. Il passaggio al riconoscimento ha bisogno della spiegazione delle Scritture. Solo il Risorto ne è l’interprete adeguato.

Il cuore riscaldato e riaperto dal segno della Parola spiegata implora il viatico di un segno più intimo, quello del pane spezzato. Gesù, però, sparisce.

La Chiesa non può trattenere Gesù nella visibilità storica di prima. Deve sapere e credere che egli è vivo con lei e la vivifica nell’Eucaristia. I discepoli capiscono e tornano a Gerusalemme per condividere con gli apostoli la testimonianza. Emmaus è un capolavoro di dialogo confortante. Emmaus assicura tutti che, quando ascoltano la Scrittura nella liturgia della Parola e partecipano allo spezzare del pane nella liturgia eucaristica, sono realmente incontrati da Cristo e ritrovano fede e speranza.

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la Parola della II Domenica di Pasqua - 27 aprile 2014

Da questa domenica — e per tutto il tempo pasquale — la litur­gia della Parola orienta la nostra riflessione verso un’unica realtà: la Chiesa, comunità dei credenti, nata dalla Pasqua di Cristo (cf SC 5). In modo molto concreto, le singole domeniche mettono in rilievo aspetti diversi della vita dei cristiani, come testimonianza del Signore risorto.

 La primitiva comunità apostolica di Gerusalemme non ha finito di esistere: deve rispecchiarsi nelle nostre comunità, nelle nostre assemblee domenicali.

Ciascuna di esse è continuamente ricreata e si costruisce grazie alla presenza del Risorto e in forza dei suoi doni pasquali (lo Spirito, i sacramenti, la pace, la gioia); ciascuna è chiamata ad essere nel mondo segno e annuncio permanente della Pasqua del Signore, del suo invito alla pace e alla riconciliazione.

La pagina del Vangelo di questa II domenica di Pasqua, tratta da Giovanni, va ascoltata e meditata secondo la logica propria del quarto Vangelo: il suo autore ha raccolto e tramandato le parole e i fatti di Cristo per provare che egli era veramente il Messia-Figlio di Dio, e per suscitare la fede che salva.

La Parola che risuona oggi nell’assemblea è dunque un richiamo a vivere quella fede pasquale su cui si fonda la comunità cristiana. L’episodio di Tommaso e la «beatitudine » di coloro che crederanno pur non avendo visto, insegnano che è giunto il momento di instaurare una nuova economia di fede; la presenza di Cristo in mezzo ai suoi sarà riconosciuta solo attraverso l’esperienza di segni

sacramentali: la Parola (l’«insegnamento degli apostoli») ascoltata con fedeltà; la comunione fraterna vissuta in modo concreto e realistico; il gesto di spezzare il pane nell’Eucaristia; la partecipazione alla preghiera comune (cf prima lettura). L’esperienza della prima comunità apostolica si rinnova oggi per la nostra assemblea: la fede riconosce la presenza del Signore risorto nel segno stesso dell’assemblea, nel segno della Parola proclamata e ascoltata, nella condivisione del pane e del vino.

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La Parola della Domenica di Pasqua - 20 aprile 2014

Giovanni, nel brano del vangelo, si autodescrive come colui che “vide e credette” e non come colui che “capì”… Credere è un dono fatto all’anima per il quale quotidianamente ringraziare, laddove invece voler capire (nel senso di esigere delle spiegazioni plausibili del mistero cosmico della vita) attiene alla presunzione dell’animo umano. Questo potrebbe suggerirci qualcosa circa il nostro comportamento di “credenti”… Credenti “a prescindere” o credenti “postumi”, credenti dopo aver visto il miracolo (magari narcisisticamente applaudendo a noi stessi per essere riusciti a sfilarglielo) o credenti “preventivi” (stupiti di sentire risuonare tra le pareti dell’anima quella soave carezza “la tua fede ti ha salvato”… Stupiti e magari ancora in grado di sussurrare a Gesù la richiesta di un ulteriore “miracolo”, quello di un accrescimento di fede…). In questo senso la Pasqua è la festa per eccellenza per la gioia dell’anima. In questo senso, Pietro e Giovanni, stupiti dal vuoto del sepolcro non persero tempo a chiedersi “come” potesse essere accaduto, ma accettarono “che” fosse accaduto e basta, non corsero in questura a “denunciare” il fatto, ma presero ad andare ovunque ad “annunciare” l’evento… rischiando la pelle. E già risuonava nelle orecchie della loro anima il ritornello: “Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”, ritornello che non attiene ad una logica di sadismo o di vendetta ma alla divina logica del mistero, unico cibo capace di saziare gli appetiti dell’anima. Più la mente rimane a bocca asciutta più l’anima si sazia di Dio.

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la Parola della Domenica delle Palme - 13 aprile 2014

Tutto l’impegno quaresimale di penitenza e di conversione in questa domenica viene focalizzato attorno al momento cruciale del mistero di Cristo e della vita cristiana: la croce come obbedienza al Padre e solidarietà con gli uomini, la sofferenza del Servo del Signore (cf prima lettura) inseparabilmente congiunta alla gloria (seconda lettura). La strada che Gesù intraprende per salvare si pone in contrasto con ogni più ragionevole attesa perché egli sceglie non la forza e la ricchezza, ma la debolezza e la povertà. Il compendio della celebrazione odierna è offerto già nella monizione che introduce la processione delle Palme: «Questa assemblea liturgica è preludio alla Pasqua del Signore... Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione... Chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce per essere partecipi della sua risurrezione».  Vertice della liturgia della Parola è la lettura della Passione: è a questo centro che occorre volgere l’attenzione, più che alla processione delle palme. I ramoscelli d’olivo non sono un talismano contro possibili disgrazie; al contrario, sono il segno di un popolo che acclama al suo Re e lo riconosce come Signore che salva e che libera. Ma la sua regalità si manifesterà in modo sconcertante sulla croce. Proprio in questo misterioso scandalo di umiliazione, di sofferenza, di abbandono totale si compie il disegno salvifico di Dio. Nell’impatto con la croce la fede vacilla: il peso di una forca schiaccia il Giusto per eccellenza e sembra dar ragione alla potenza dell’ingiustizia, della violenza e della malvagità. Sale inquietante la domanda del «perché» di questo cumulo insopportabile di sofferenza e di dolore che investe Gesù, il Crocifisso, e con lui tutti i crocifissi della storia. Nell’annientamento del Figlio di Dio nasce una nuova umanità. Il mistero della morte diventa mistero di vita e di trionfo. Una regalità che rinuncia a schemi di potenza umana, che indica per quali strade umanamente illogiche passi la «gloria», che diventa misura di confronto e di verifica nel servizio dei fratelli.

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la Parola della V domenica di Quaresima - 6 aprile 2014

Il vangelo di questa V domenica del tempo di quaresima ci presenta il racconto della risurrezione di Lazzaro. Esso è una delle “storie di segni” che racconta l’evangelista san Giovanni. In questo brano Gesù è presentato come il vincitore della morte. Il racconto culmina nella frase di Gesù su se stesso: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me non morrà in eterno” (vv. 25-26). Che Dio abbia il potere di vincere la morte, è già la convinzione dei racconti tardivi dell’Antico Testamento. Nella II lettura il profeta Ezechiele, attraverso la visione della risurrezione delle ossa secche - immagine del ristabilimento di Israele dopo la catastrofe dell’esilio babilonese - presuppone questa fede (Ez 37,1-14). Anche il profeta Isaia nella sua “Apocalisse” si aspetta che Dio sopprima la morte per sempre, che asciughi le lacrime su tutti i volti (Is 25,8). E il libro di Daniele prevede che i morti si risveglino - alcuni per la vita eterna, altri per l’orrore eterno (Dn 12,2). Ma il nostro angelo va oltre questa speranza futura, perché vede già date in Gesù Cristo “la risurrezione e la vita”. Colui che crede in Gesù ha già una parte di questi doni della fine dei tempi. Egli possiede una “vita senza fine” che la morte fisica non può distruggere. In Gesù, rivelazione di Dio, la salvezza è presente, e colui che è associato a lui non può più essere consegnato alle potenze della morte. Con questa gioiosa certezza nel cuore proseguiamo il nostro cammino quaresimale. Il Signore ci sostenga nelle fatiche quotidiane e ci accompagni con la sua grazia.